Immagina di essere parte di un gruppo di giovani speranzosi che ha a cuore la giustizia, vuole un mondo senza discriminazioni.
Questi giovani hanno studiato, si sono formati, come architetti, antropologi, urbanisti, cooperanti.
Un giorno di molti anni fa decidono di mettere su un’associazione, in un quartiere complicato e bistrattato del centro storico, ma con una intrigante storia alle sue spalle. In cui si concentrano molte diversità, immaginari esotici e solidali che li affascinano.. la ricchezza della diversità culturale.
Un quartiere in cui si interseca presenza mafiosa, spaccio, lavoro sessuale e anche miseria. Tutto quello che fa paura ai più.
che apparentemente a loro non fa paura. erché in quel quartiere nel frattempo stavano succedendo altre cose: vecchi e nuovi abitanti, attivisti, che hanno iniziato a incontrarsi, ad organizzarsi da soli pranzi di quartiere gratuiti, forme di sostegno dal basso, recupero di case abbandonate da e per gente che di casa ne ha davvero bisogno.
Questi nostri giovani ci intravedono della ricchezza sociale. E decidono che possono metterla a valore.
Sanno benissimo, soprattutto per le loro competenze professionali, che quello è un quartiere in pieno centro storico dove si continueranno ad abbattere forme di speculazione immobiliare, quella che in termini tecnici si chiama gentrificazione. vvero che il mercato, supportato da chi governa la città, renderà presto le pittoresche case storiche in stato di abbandono in investimenti, rendendo zona sicura solo per turisti e ricchi. anno benissimo che questo comporterà l’espulsione delle e degli abitanti che lì sono cresciuti o vivono da molto. Catanesi impoveriti, donne catanesi e sudamericane che campano vendendo prestazioni sessuali, le famiglie senegalesi con i loro deliziosi ristorantini, molti giovani africani che in strada ci vivono e trasmettono musica ad ogni ora del giorno.
Sanno benissimo che per tutti loro non ci sarà più posto, ma solo per airbnb, alberghi, ristoranti e caffè alla moda, boutique care.
E decidono che possono governare questo processo di sciaccallaggio.
Eppure qualcosa inizia ad andare storto.
Perché seppure decidano di raccontare che lo fanno per il bene del mondo, degli abitanti, in realtà le loro azioni dimostrano sempre più che quello che preme è il loro benessere.
L’associazione si trasforma in cooperativa sociale, in impresa. Inizia a scrivere bandi proponendosi come esperta della diversità e delle persone vulnerabili, come la rete di professionisti che può risolvere i problemi delle persone che vivono in strada, che vivono ai margini.
Inizia a chiedere aiuto alle associazioni del terzo settore che intervengono sulle tossicodipendenze, sulle forme di sfruttamento e tratta, per i diritti delle persone migranti.
E li vince questi bandi, e inizia ad accumulare decine e decine di migliaia di euro.
Che farne?
Aprire un cohousing, poco importa se per farlo tocca buttare fuori dal quartiere sei persone che in quell’edificio ci vivevano e che non avevano modo di pagare un affitto. In fondo se lo si fa per il Bene, che vuoi che sia prendere in giro persone fragilizzate illudendole che difenderai un loro diritto al ritorno.
Aprire una caffetteria che non ha nulla da invidiare ai locali hipster di altre amene città mediterranee svendute ai turisti. Poco importa se aumentano i prezzi in maniera spropositata, ben sapendo che coloro che passano le giornate davanti a quelle vetrine non potranno mai permettersi di entrarci e che probabilmente inizieranno a pensare che sei una minaccia per le loro forme di sopravvivenza.
Organizzare workshop e festival di controcultura e di autoproduzione. A pagamento. Esclusivi ed escludenti.
Nel frattempo, i nostri eroi iniziano progressivamente a rendersi conto che non sono così preparati, bravi e in grado di gestire quello che succede. Le contraddizioni che ci sono. Gli effetti devastanti del razzismo e della povertà che sarebbero eppure ben formati per riconoscere e comprendere.
In fondo le persone migranti son servite loro per vincere progetti, quando sono disincarnate. Senza la fame, la doccia non fatta da giorni, la mancanza di lavoro, il malessere, i deliri e le crisi che tutte queste esclusioni producono.
Quali soluzioni immaginano? Chiamare polizia, accoglierla quando fanno retate, mettere telecamere, difendersi con un’alta cancellata. Creare un clima coloniale. Licenziare o cacciare chi esprime la sofferenza del proprio vissuto. Chi non è abbastanza carino e pulito, civilizzato. Legittimare il discorso sul degrado di chi governa la città.
Questa è la storia di chi dice di voler tessere trame a san berillo.
Aprendo una foresteria proprio per turisti.
Ora, in un recentessimo comunicato, ancora a più grande voce la cooperativa invoca l’intervento della questura.
Ignorando e invisibilizzando chi con gli abusi di sostanze ci combatte da anni. Mettendo nuovamente in pericolo chi cerca di salvare i propri amici da questi abusi. Che magari sono finiti a farsi perché sono neri in una società razzista, senza nessun che gli dia un lavoro o una casa, senza possibilità di regolarizzarsi col permesso di soggiorno. In una città e società ostile dove la polizia è l’unica che li vede benissimo.
Invoca la protezione delle istituzioni e lo fa raccontandosi come vittima.
Quando prima si spacciava senza scrupolo alcuno come l’ente esperto che avrebbe risolto i problemi.
Si dichiara vittima abbandonata dalle istituzioni, quando sono proprio le istituzioni quelle che la stanno aiutando a far fuori la miseria del mondo che non vuole più attorno, con un bel progetto di una piazza dove potrà estendere i propri tavolini e far consumare più gente.
Ha costruito la sua immagine come realtà tessitrice di relazioni, eppure invoca una criminalizzazione generalizzata.
Ora i tessitori di trame scioperano. Mostrando la verità su di sé. Quali sono i padroni da cui decidono di scioperare? Le forze dell’ordine che hanno delegato loro parte del lavoro di sorveglianza sul quartiere?
Chi abita a San Berillo non vuole militari, né speculatori. Ma casa, lavoro e permessi di soggiorno.