Repressione e violenza in tutta la Sicilia orientale: CPR, questure e politiche urbane

In queste settimane abbiamo assistito in Sicilia orientale e centrale ad episodi di violenza che possono sembrare scollegati, ma che nei fatti dimostrano quanto le diverse forme di violenza razzista del regime di frontiera italiano ed EUropeo siano interconnesse.

Nelle ultime tre settimane dal Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) di Caltanissetta sono arrivate, e continuano a farlo, notizie di violenza gratuita o vendicativa da parte delle forze dell’ordine ai danni delle persone qui detenute, la cui “colpa” sarebbe quella di lamentarsi delle negligenze del medico dell’Asp di Caltanissetta che è responsabile nel centro e degli operatori dell’ente gestore. A seguito di proteste o rivolte terminate in pestaggi, ci sono state due occasioni in cui, per persone in condizioni critiche, i responsabili istituzionali e la polizia hanno ostacolato la chiamata dell’ambulanza, nonché decine di detenuti feriti dai manganelli utilizzati dagli agenti che entrano nei blocchi del Cpr in assetto antisommossa.
Sul fronte Catanese, invece, a San Berillo, le forze dell’ordine sono tornate a presentarsi con allarmante frequenza. Sabato scorso, durante le celebrazioni dell’Eid-al Ahda (la festa del sacrificio e del perdono), le forze dell’ordine sono arrivate in quartiere, chiamate da qualcun*, perché una persona stava esprimendo la sua sofferenza. Per più di un’ora il quartiere è stato in balia di sette poliziotti che, gridando e agitando manganelli e taser,  sembravano non essere in grado di contenere una persona che era in stato di stress psicologico acuto, probabilmente a causa di abuso di sostanze. Come successo qualche mese fa in piazza Università, con un altro cittadino straniero in stato di ebrezza, il taser è stato puntato puntato ad altezza uomo alla persona inerme che avevano accerchiato. Ci chiediamo se questo è quanto sia davvero previsto dal protocollo di utilizzo di quest’arma, che si è già rivelata essere  letale.  Ad alcun* attivist* che sono giunti sul posto, i poliziotti hanno intimato di allontanarsi specificando “voi fate pure i vostri video, tanto questa persona noi la portiamo via a qualsiasi costo”.

Inoltre, sono settimane che la Questura di Catania ha deciso che, con l’arrivo dell’estate, le richieste di protezione internazionale fatte dalle persone arrivate con un foglio di respingimento da Lampedusa o da una nave quarantena (sì, sebbene l’ultima nave quarantena abbia smesso di operare, in giugno ci sono ancora persone che non sono riuscite a far valere il loro diritto di asilo), debbano essere lasciate in un’infinita attesa. A Catania, come nel resto d’Italia, non è ancora stato rinnovato il contratto ai e alle mediatrici culturali che lavorano negli uffici immigrazione, e di conseguenza gli e le amministrative hanno deciso di smettere di lavorare. In questa situazione di già ampia violenza burocratica e istituzionale, attivist* e avvocat* che sostengono le persone nei ricorsi contro i respingimenti e nelle domande d’asilo registrano violenze quotidiane verso chi si dichiara minore. Le forze dell’ordine, che nel momento in cui una persona si dichiara minore dovrebbero limitarsi, per quanto prescritto dalla legge, a contattare la procura dei minori e accompagnare la persone presso il centro di accoglienza prestabilito, non riescono a smettere di lasciarsi andare a provocazioni, intimidazioni e violenze verbali razziste: “ma questo non è un minore”, “sei grosso il doppio di me”, “questo lo denunciamo”, “ci sta ingannando”.

La repressione crescente a San Berillo, le rivolte e i pestaggi al Cpr di Caltanissetta, e la violenza burocratica e razzista della Questura di Catania sono tutte connesse dal fatto che c’è un attore che le hanno portate avanti: le forze dell’ordine.
È per noi surreale che le politiche urbane siano gestite a suon di botte, raid e sorveglianza.
È per noi surreale che le stesse forze dell’ordine che puntano taser e picchiano le persone siano incaricate di “scortare” minori nei centri di identificazione, che le procedure di identificazione si svolgano nelle caserme lontano dagli occhi di chiunque.
È per noi surreale che esistano luoghi come i Cpr, dove le condizioni di vita sono peggiori di quelle delle carceri, in cui vengono rinchiuse per mesi persone che sono semplicemente senza documenti.