Dopo gli sbarchi: alcune riflessioni

di Osservatorio sulla repressione di Catania

Le persone che sono state tenute in ostaggio dallo Stato italiano durante questi giorni, prima in mare e poi al porto di Catania, sono infine sbarcateSono momenti di sollievo e gioia, come quella che si prova quando ci si conquista l’uscita da una galera.

Anche se potrebbe sembrare sconveniente, è proprio questo il momento, nella vividità delle emozioni che ci attraversano, che vogliamo condividere alcune riflessioni su quello che questi giorni ci hanno rivelato. 

Le proteste di chi è stato dichiarato «residuo» e detenuto su quelle navi umanitarie insegnano a noi bianch& e/o cittadini& di uno stato europeo quanto ci resta da fare. 

Anche perché in questi anni, ben prima di qualsiasi governo «fascista», al largo delle coste e dentro i porti siciliani, migliaia di persone sono state, nell’indifferenza generale, detenute su navi umanitarie. Certo, a differenza delle navi di questi giorni, che sono una risposta indispensabile della società civile alle politiche di morte di governi e dell’agenzia europea Frontex, quelle erano del nostro governo e gestite dalla croce rossa. Non dimentichiamoci però, che abbiamo permesso allo stato di devolvere milioni di euro a Gnv, di proprietà di MSC, una delle più grandi multinazionale del trasporto marittimo, che inquina e specula sui nostri mari trasportando indifferentemente turisti, container, pendolari e migranti, per trattenere persone su una nave. E che potremmo ripermetterlo, anzi l’abbiamo già fatto a Lampedusa

Grida di lotta, battiture, cartelli, fughe in mare, sciopero della fame. Questo si è dato in questi giorni al porto di Catania. Questo si dà in ogni luogo di reclusione. Nelle carceri e nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Caltanissetta e Trapani, per restare alla nostra regione. Dobbiamo iniziare a ragionare sul motivo per cui non ci stiamo assumendo il dovere di ascoltare e amplificare quelle voci e mostrare solidarietà attiva verso questx altrx reclusx. 

Chi stava in presidio permanente al porto in questi giorni ha indicato e rivendicato una verità: non si possono fare distinzioni. La vulnerabilità non può essere assunta, neanche nei «nostri» discorsi, come un argomento politico ed è proprio mobilitandoci con questi presupposti che le lotte si vincono. I diritti non si «meritano» perché si è (più) vittime. Se non si parte da qui, si continuerà a riconoscere alle istituzioni  la legittimità di agire in modo discrezionale, ovvero riproducendo schemi razzisti (come hanno anche dimostrato le politiche europee sulla protezione temporanea attivata esclusivamente per cittadin* ucrain*) e decisioni che definiscono chi può morire e chi no. Accettare la logica di prima le donne e bambinx, poi gli uomini malati, vuol dire oscurare il fatto che in questa società ci sono risorse per tuttx e chi governa le deve distribuire, restituire. 

Vuol dire oscurare il fatto che il problema è a monte. Come ha detto un nostro amico e compagno gambiano ad un giornalista la prima notte al porto, «se avessimo la possibilità di viaggiare con l’aereo, non faremmo questo viaggio, con questo rischio. Non abbiamo preso questo viaggio perché l’abbiamo scelto». Ed è per questo, che dobbiamo continuare a opporci al memorandum d’intesa tra Italia e Libia; ai vari accordi bilaterali di rimpatrio, in primis, con la nostra sorella Tunisia; all’OIM che sostiene il blocco forzoso delle persone in Niger, trasformato nel XXI secolo in una nuova colonia perché l’Europa ha deciso di farne un suo territorio di confine.

Le persone sono infine scese. Oltre alle connessioni delle lotte tra chi era dentro la nave e chi era fuori, ha purtroppo aiutato anche un’epidemia di scabbia, creata dallo stato stesso che ha continuato a lasciare concentrate centinaia di persone senza supporto. Non sono neanche in grado di proteggere la salute pubblica. 

D’altro canto, non proprio tutte le persone che avrebbero dovuto sono sbarcate. Alcune sono ancora in viaggio verso Tolone. Potranno presentare la loro domanda d’asilo là. Potrebbe essere un sollievo, se non fosse che proprio in questi giorni il governo francese, nel suo mix spietato di razzismo e neoliberismo, stia discutendo una proposta di legge che mette in maniera inequivocabile in pericolo le persone richiedenti asilo e sans-papiers. In una apparente guerra diplomatica combattuta sul corpo delle persone, i due razzismi di stato si sostengono a vicenda: la Francia ha infatti annunciato che, per “punire” il governo Meloni, manderà 500 nuovi agenti alla già mortifera frontiera di Ventimiglia.

E chi è invece riuscitx a scendere a Catania, dove è finitx? Le persone sono state ammassate al Palasport, senza che lo stato si occupasse di pagare mediatori o di fornire un adeguato supporto sociale a chi è sopravvissutx al viaggio e alla crudele sofferenza di questi giorni di rifiuto. Come d’altronde era successo anche sulle navi, quando l’identificazione delle “vulnerabilità” è comunque avvenuto senza mediatori e psicologi. Al vuoto istituzionale, le reti catanesi hanno risposto organizzandosi dal basso. La celerità dello stato non è invece mancata nella sua forma repressiva, con le persone sbarcate che si sono trovate esposte a interrogatori per capire chi fossero «gli scafisti». Come se dopo anni di inchieste e report, si potesse ancora credere che i «trafficanti» di uomini siano davvero coloro che guidano la nave. Qua potete leggere come sono state sepolte in carcere migliaia di persone con questa scusa. 

E dove finiranno le persone sbarcate? Molte delle strutture dell'”accoglienza” sparse in questo paese sono luoghi in cui prolifera abbandono, atteggiamenti razzisti e sfruttamento lavorativo. 

Infine, alcune considerazioni sulle restrizioni della libertà di manifestare in corso in questi giorni, in cui il nuovo decreto legge sta aprendo ulteriori spazi di criminalizzazione del dissenso. Più volte è stato impedito alle solidali non solo di raggiungere le navi, ma proprio di avere accesso al porto. Nell’ultima è stata usata come motivazione il fatto che una nave da crociera doveva attraccare e bisognava permettere ai turisti di defluire. Ci verrebbe da sorridere per la chiarezza dell’immagine che si è data, esempio lampante che spiega nel modo più semplice come funziona il divario di privilegio tra chi può muoversi e chi no, tra chi può approdare e chi no. 

Un ultimo inciso, qui, da una San Berillo sotto assedio dalla turistificazione che ci sta privando delle case in cui abitare. Le grandi navi stanno da mesi ridefinendo il paesaggio di Catania, le si vede da lontano che incombono, anche con i loro fumi tossici. Siamo davvero disposte a svendere il nostro benessere, per lasciare che il centro storico diventi un centro commerciale?

Sabato 12 novembre, alle ore 16, ci si trova al Porto di Catania per la manifestazione regionale “Porti Aperti